La lombalgia “specifica” o “non specifica”

Il mal di schiena (LBP) è una condizione molto comune, che riguarda almeno l’80% delle persone nel corso della loro vita. Si tratta di un dolore compreso tra il margine inferiore dell’arcata costale e le pieghe glutee inferiori, con eventuale fastidio riferito o irradiato agli arti inferiori che può limitare la normale attività quotidiana e lavorativa. Noi professionisti - quando approcciamo a pazienti con dolore nella regione lombare -abbiamo la necessità di escludere patologie che possano manifestare sintomi simili alla lombalgia e solo in seguito di classificare il dolore lombare in “specifico” o “non specifico” al fine di poter offrire il percorso terapeutico migliore.  

Segni e sintomi di natura non meccanica, di insorgenza notturna, di dolore non correlato al carico o al movimento, o che non regredisce con il riposo in trenta o più giorni e al quale la terapia farmacologica risulta inefficace sono i campanelli di allarme che richiedono un approfondimento specialistico urgente. Tra le condizioni patologiche che possono evocare una sintomatologia simile alla lombalgia troviamo: frattura, tumore, lombalgia infiammatoria, sindrome della cauda equina, infezione, aneurisma dell’aorta. Una volta accertato che la natura del dolore non ha le caratteristiche appena descritte si valuta se il dolore sia provocato da una lombalgia “specifica” o da una lombalgia “non specifica”.  

Nella lombalgia “specifica” rientrano patologie come ernie lombari, stenosi del canale, la spondilolisi/listesi, dolore sacro iliaco e dolore sacro coccigeo, mentre tutto ciò che non rientra nelle patologie appena citate viene identificato come lombalgia “non specifica”. Per escludere la lombalgia specifica ci avvaliamo dell’osservazione clinica, di test specifici di diagnosi differenziale e delle immagini diagnostiche (se in possesso dal paziente). Tuttavia, il dolore lombare specifico ha un’incidenza inferiore rispetto a quello non specifico.  

Per quanto concerne il dolore non specifico, il 90% degli episodi si risolve spontaneamente entro i 6 mesi. L’80% avrà un secondo episodio in futuro. Il 4-10% dei disturbi possono diventare di natura cronica rappresentando un costo economico e sociale importante per la persona. Tutte le linee guida sono concordi nel considerare i fattori psicosociali come predittivi di cronicità e disabilità a lungo termine di un dolore lombare non specifico. Tra tali fattori di rischio troviamo la scarsa conoscenza del problema, credenze errate, paura, condizioni stressanti contingenti, scarso supporto esterno, esperienze pregresse negative, tendenza all’inattività ingiustificata, atteggiamento passivo e scarso riposo notturno.  

La gestione del dolore lombare è notevolmente cambiata negli ultimi anni, soprattutto riguardo l’utilizzo delle immagini diagnostiche. Se in passato erano considerate fondamentali all’interno del percorso diagnostico, attualmente sono consigliate solo nei rari casi (5-10%) dove si sospettano “red flag” come cancro, o in presenza di gravi deficit neurologici. Infatti nel restante 90- 95 % dei casi, si parla di dolore lombare non specifico dove l’utilizzo delle immagini diagnostiche non è raccomandato perché non modifica il percorso terapeutico o potrebbe addirittura influenzare negativamente il recupero del paziente. Quindi i clinici dovrebbero condurre un triage diagnostico approfondito per identificare i pazienti con dolore lombare non specifico che non necessitano di esami strumentali, fornire informazioni adeguate rassicurando il paziente sulla natura e sull’evoluzione benigna del mal di schiena, ma anche sul rischio di ricorrenza. È fondamentale raccomandare al paziente di rimanere attivo e tornare quanto prima alle normali occupazioni e di sconsigliare il riposo a letto, se non per dolore importante.

 

Francesco Cerci

Osteopata – Centro Olos Velletri